N. 00355/2015 REG.PROV.COLL.
N. 03554/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 3554 del 2014, proposto dall’Ordine degli Avvocati di Busto Arsizio, in persona del Presidente del Consiglio dell’Ordine, rappresentato e difeso dall’avv. Aldo Travi, con domicilio presso la Segreteria di questo Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sede di Milano, in Milano, via Filippo Corridoni, 39;
contro
il Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, ed il Presidente del Tribunale di Busto Arsizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, presso la quale ope legis domiciliano in Milano, via Freguglia, 1;
il Dirigente amministrativo del Tribunale di Busto Arsizio, n.c.;
per l’annullamento,
previa misura cautelare,
del provvedimento dell’Ufficio di Presidenza e Dirigenza del Tribunale di Busto, datato 12 novembre 2014, prot. 1584/2014, con cui è stata disposta la chiusura al pubblico della cancelleria “dibattimento” del Tribunale di Busto Arsizio nella giornata del mercoledì, fatta eccezione per «…la ricezione degli atti in scadenza e il compimento di atti e/o di attività urgenti o in scadenza…».
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia e della Presidenza del Tribunale di Busto Arsizio;
Visti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2015 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il presente giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata ai sensi degli articoli 60 e 74 cpa, essendo il ricorso manifestamente fondato, essendo trascorsi almeno 20 giorni dall’ultima notificazione del ricorso, non essendovi necessità di istruttoria, ed essendo stato dato avviso alle parti, nel corso della camera di consiglio del 15 gennaio 2015, della possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata.
Con ricorso depositato il 23 dicembre 2014, parte ricorrente impugna l’atto in epigrafe per violazione dell’art. 162 della legge 23 ottobre 1960, n. 1196, recante Ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e dei dattilografi, come modificato dall’art. 51, del DL 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114.
Il comma 1 di tale articolo 162, per quanto di interesse, dispone che «…Le cancellerie delle corti di appello e dei tribunali ordinari sono aperte al pubblico almeno quattro ore nei giorni feriali, secondo l’orario stabilito dai rispettivi presidenti, sentiti i capi delle cancellerie interessate.».
La chiarezza della norma non lascia spazio ad interpretazioni, sussistendo conseguentemente l’obbligo di apertura delle cancellerie giudiziarie nei giorni feriali (in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 798, nonché TAR Toscana, Sez. I, 3 giugno 2014, n. 968).
Né a diversa decisione possono indurre le, pur comprensibili, ragioni di rilevante carenza di personale (nel documento depositato dalla Avvocatura dello Stato sub 1 il 10 gennaio 2015 si precisa che, a fronte di 124 addetti previsti, ne risultano presenti in servizio 69 ed assenti 55, con una scopertura di organico di circa il 44%), anche in relazione alle intervenute modifiche della competenza territoriale, addotte dalla Presidenza del Tribunale di Busto Arsizio o le argomentazioni spese dalla difesa erariale, anche in sede di discussione in camera di consiglio.
Con riferimento alle prime, la citata sentenza 798/2014 ha condivisibilmente avuto modo di affermare, in relazione a misura limitativa delle modalità di apertura delle Cancellerie giudiziarie previste dal citato art. 162, analoga a quella oggetto di giudizio, come tale misura «…si pone in contrasto insanabile con l’art. 162 della citata legge n. 1196/60, senza che possa costituire causa giustificativa la motivazione resa a sostegno dell’adottato provvedimento riconducibile a ragioni di carenza di personale e di tipo logistico: gli elementi di valutazione posti a base del provvedimento di che trattasi, per quanto in sé apprezzabili sono del tutto recessivi e comunque non possono incidere sul limite minimo delle cinque ore di apertura al pubblico degli uffici…».
Né l’insufficienza degli organici può essere argomento sufficiente a superare le disposizioni di legge; così opinando sarebbe semplice per l’Amministrazione eludere il disposto legislativo, da essa dipendendo – seppure nei limiti derivanti dalle normative sulle assunzioni – la provvista di personale; ciò vale anche a superare la domanda di sollevare questione di legittimità costituzionale del citato art. 162 per contrasto con l’art. 97 Cost.
Sul punto, è peraltro il caso di rimarcare come la provvista di personale del Tribunale di Busto Arsizio dipende dalle assegnazioni disposte dal Ministero della giustizia, ritualmente citato e costituito; se le ragioni di carenza di personale possono al limite risultare comprensibili nei confronti del Tribunale di Busto Arsizio, non così lo sarebbero per il Ministero, tenuto ad assicurare a tutti gli Uffici giudiziari una provvista di personale adeguata ad assicurare il rispetto del citato art. 162.
Con riferimento alle argomentazioni della difesa erariale, secondo cui si tratterebbe di una misura che non implica una chiusura, ma di una modalità di regolazione dell’apertura, essendo comunque «…garantita la ricezione degli atti in scadenza e il compimento di atti e/o di attività urgenti o in scadenza…» (così il provvedimento impugnato), da un lato una piana lettura del provvedimento depone in senso diverso, poiché questo «…DISPONE la chiusura al pubblico della cancelleria dibattimento limitatamente alla giornata di mercoledì…».
D’altro lato, anche a voler considerare il provvedimento come una modalità di regolazione dell’apertura, esso non rispetta comunque il dettato della norma, che non prevede alcuna possibilità di limitazione all’apertura come prevista dalla disposizione.
Né a diversa decisione, attesa la diversità della fattispecie, può indurre la giurisprudenza citata da parte resistente (Cons. Stato, Sez. V, 2 novembre 2011, n. 5836), riferita ad un caso di tardività del ricorso, in relazione ad un provvedimento limitativo dell’apertura, non impugnato.
In tal caso, il Consiglio di Stato ha avuto modo di affermare che «…anche alla luce della giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, si deve concludere che l’art. 162 della legge n. 1196 del 1960 (secondo cui le cancellerie e le segreterie sono aperte al pubblico cinque ore nei giorni feriali) avendo natura di norma di organizzazione volta a disciplinare l’azione della pubblica amministrazione, non attribuisce alcun diritto soggettivo agli interessati, ma soltanto, ed eventualmente, interessi legittimi tutelabili unicamente attraverso i rimedi (giurisdizionali e giudiziali) per essi previsti, con la conseguenza che la determinazione del provvedimento di apertura in misura inferiore a quella (nella specie, quattro ore anziché cinque) impone, comunque, ai soggetti interessati l’onere del deposito degli atti nell’orario fissato, pena il verificarsi delle decadenze stabilite dalle norme processuali, senza che possa utilmente invocarsi in contrario il contrasto della determinazione adottata con la disposizione di legge sopra richiamata (Cass. 2 maggio 2005, n. 9069; Cass. 23 ottobre 1998, n. 10537)…».
Da tali premesse, dovrebbe derivare, in ragione della formulazione dell’art. 92 cpc, richiamato dall’art. 26 cpa, attualmente vigente, applicabile alla controversia ratione temporis, la condanna solidale del Ministero della giustizia e del Tribunale di Busto Arsizio alle spese di giudizio.
Dispone infatti l’art. 92, comma 2, cpc, nel testo risultante in conseguenza delle modifiche apportate dall’art. 13, comma 1, del DL 12 settembre 2014, n. 132, come modificato dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162, applicabile ai giudizi incardinati dopo il 12 dicembre 2014 in base al comma 2 dello stesso art. 13 , che «Se vi é soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero».
Secondo quanto visto, non sussiste alcun mutamento di giurisprudenza che possa giustificare una compensazione.
Tuttavia, premesso che ai fini della regolazione delle spese, per le ragioni inerenti l’obbligo di assicurare la provvista di personale, ed in considerazione della circostanza che l’Avvocatura dello Stato si è costituita sia per il Ministero che per la Presidenza del Tribunale, ancorchè per «…entrambi in persona del Ministro della Giustizia in carica…», la posizione del Tribunale di Busto Arsizio deve essere differenziata da quella del Ministero della giustizia, ritiene il Collegio che debba essere esclusa l’applicabilità al processo amministrativo dell’art. 92 cpc, richiamato dall’art. 26 cpa, nella formulazione risultante in conseguenza delle modifiche apportate dall’art. 13, comma 1, del DL 12 settembre 2014, n. 132, come modificato dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162.
Il rinvio operato dall’art. 26 cpa laddove dispone, per quanto di interesse, che «…Quando emette una decisione, il giudice provvede anche sulle spese del giudizio, secondo gli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile…», deve infatti essere ritenuto un rinvio statico.
In via generale, il riferimento alle “successive modifiche o integrazioni” ovvero espressioni del tipo “nel testo vigente alla data di entrata in vigore della presente legge” costituiscono elementi che , laddove presenti, consentono di qualificare il rinvio rispettivamente come dinamico o statico; la loro assenza, invece, non può essere ritenuta un elemento concludente per qualificare il rinvio.
Nel caso di specie, l’assenza di ogni riferimento, nell’art. 26 cpa, alle “successive modifiche o integrazioni” va letta in uno con il disposto dell’art. 39 cpa, che opera un rinvio generalizzato alle disposizioni del codice di procedura civile «…in quanto compatibili o espressione di principi generali…»; tale disposizione conferma che nessun rinvio del codice del processo amministrativo al codice di procedura civile, in assenza del riferimento alle “successive modifiche o integrazioni” della norma cui si rinvia, possa essere considerato a priori dinamico, dovendo invece essere sottoposto al vaglio del Giudice.
Facendo applicazione di tali disposizioni, le peculiarità del sistema amministrativo inducono a ritenere il rinvio di cui si tratta un rinvio statico.
Sussistono infatti nel sistema amministrativo casi in cui la parte soccombente non risulta sostanzialmente avere avuto possibilità di determinarsi diversamente, nel corso del procedimento amministrativo, ovvero in giudizio.
Senza pretesa di esaustività si citano le seguenti ipotesi:
1. sentenza di difetto di giurisdizione ovvero ordinanza di difetto di competenza laddove la parte privata abbia proposto ricorso in osservanza della erronea indicazione dell’Amministrazione, contenuta, in esecuzione del disposto di cui all’art. 3, comma 4, della legge 241/1990, nel provvedimento impugnato;
2. provvedimento cautelare di rigetto per assenza del pregiudizio grave ed irreparabile, nei casi in cui, attesa la sommarietà propria del rito cautelare, non venga in rilievo questione sugli orientamenti giurisprudenziali, pur sussistendo ragioni che giustificherebbero una compensazione , ciò valendo, a maggior ragione, nel caso di applicazione dell’art. 119, comma 4, cpa, in cui il pregiudizio richiesto è caratterizzato da un requisito ulteriore rispetto al pregiudizio richiesto in via ordinaria dall’art. 55, comma 1, cpa;
3. ordinanza di cui all’art. 55, comma 10, cpa, con cui ci si limita alla fissazione della data della discussione del ricorso nel merito;
4. rigetto del ricorso nei casi di cui all’art. 21-octies, comma 2, in cui il provvedimento non è annullabile, pur essendo in contrasto con le norme sul procedimento;
5. sussistenza di ragioni che, pur in presenza di provvedimento annullabile, renderebbero estremamente difficoltosa la praticabilità di provvedimenti diversi da quello adottato.
In tali casi, la condanna della parte soccombente alle spese, in difetto della possibilità di un diverso comportamento, ovvero nel caso della errata indicazione del Giudice determinata proprio dalla parte cui dovrebbero essere corrisposte le spese di giudizio, ovvero in presenza di un provvedimento violativo di norme procedimentali ma non annullabile, apparirebbero violative dei principi generali di proporzionalità e di affidamento.
In particolare, sul principio di proporzionalità, il Consiglio di Stato ha recentemente avuto modo di precisarne l’accezione in sede giurisdizionale, ritenendolo «…da intendere nella sua accezione etimologica e dunque da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale…» (Cons. Stato, Sez. V, ord. 22 gennaio 2015, n. 284).
Il rinvio deve essere quindi inteso al testo dell’art. 92 cpc vigente all’epoca della entrata in vigore del D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, recante Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo.
A tale data il testo vigente del comma secondo dell’art. 92 cpc recitava: «Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti».
Né a soluzione sostanzialmente diversa si perverrebbe ritenendo trattarsi di rinvio dinamico.
L’applicazione del citato art. 92, così come prevista per il rito civile, condurrebbe infatti nel processo amministrativo a conseguenze irragionevoli in relazione alle delineate peculiarità del sistema amministrativo, tanto che questo Giudice dovrebbe sollevare d’ufficio questione di legittimità costituzionale, laddove non fosse possibile reperire un’interpretazione costituzionalmente orientata.
Ciò in forza del principio, affermato nella sentenza della Corte costituzionale 22 ottobre 1996, n. 356, e poi più volte ribadito, secondo cui «…una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima perché può essere interpretata in un senso che la ponga in contrasto con parametri costituzionali, ma soltanto se ne è impossibile una interpretazione conforme alla Costituzione (si vedano, da ultimo, la sentenza n. 379 del 2007 e le ordinanze n. 448 e n. 464 del 2007)…» (Corte cost., sentenza 16 maggio 2008, n. 147), in ragione del quale il Giudice è comunque tenuto a ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme da applicare.
Ora, l’art. 92 cpc, nel testo attualmente vigente, appare irragionevole sia per l’eccessiva compressione del potere discrezionale del giudice di valutare le situazioni concrete, limitato ai casi di assoluta novità della questione trattata o di mutamenti giurisprudenziali, sia per l’irragionevolezza degli effetti derivanti dalla sua applicazione al processo amministrativo nei casi già delineati, in cui la parte soccombente non risulta sostanzialmente avere avuto possibilità di determinarsi diversamente.
Con riferimento al caso di specie, rileva l’estrema difficoltà per il Tribunale di Busto Arsizio, di poter adottare, in carenza di adeguata dotazione di personale, soluzioni organizzative diverse da quelle, pur illegittime, che sono state adottate con il provvedimento impugnato, ricadendo nell’ambito della competenza del Ministero della giustizia, e non in quello del Tribunale di Busto Arsizio, l’assicurare l’adeguatezza della dotazione organica di personale del Tribunale.
Occorrerebbe quindi ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata che, a parere del Collegio, sarebbe costituita dal ritenere l’art. 92 cpc, richiamato dall’art. 26 cpa, applicabile al processo amministrativo nei limiti delle peculiarità del sistema amministrativo, e cioè nel senso che esso consenta, nell’ambito del processo amministrativo, la compensazione delle spese di giudizio anche al di fuori dei limitati casi ivi espressamente previsti, in presenza di eccezionali ragioni che devono trovare congrua ed espressa motivazione, senza limitarsi a mere clausole di stile.
Tanto premesso, ai sensi del combinato disposto degli artt. 26 e 39 cpa, 91 e 92 cpc, il Ministero della giustizia deve essere condannato alle spese nei confronti dell’Ordine ricorrente, con compensazione nei confronti del Tribunale di Busto Arsizio, non ricadendo nell’ambito della competenza di tale Tribunale l’assicurare una provvista di personale adeguata al rispetto dell’art. 162 della legge 23 ottobre 1960, n. 1196.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione III), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Ministero della giustizia al pagamento, nei confronti di parte ricorrente, delle spese processuali del presente grado di giudizio, che liquida, in via equitativa, in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge, nonché alla rifusione del contributo unificato corrisposto da parte ricorrente; compensa nel resto, secondo quanto in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Alberto Di Mario, Primo Referendario
Diego Spampinato, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)