Con la sentenza n. 761 del 2019 depositata lo scorso 9 dicembre il TAR delle Marche ha dichiarato l’illegittimità di un avviso pubblico per la nomina di un professionista violativo della disciplina sull’equo compenso del dicembre 2017 (art. 13 bis L. 247/2012 e art. 19 quaterdecies del decreto legge n. 148 del 2017).
Ecco i principi di diritto enunciati dal TAR :
– le pubbliche amministrazioni, nell’affidamento dei servizi di opera professionale sono tenute a corrispondere un compenso congruo ed equo, ovvero proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione;
– al fine di accertare l’equità del compenso, occorre far riferimento ai parametri stabiliti dai singoli decreti ministeriali per ciascuna categoria di professionisti;
– detti parametri non possono essere considerati alla stregua di minimi tariffari inderogabili (pena la surrettizia introduzione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali, abolite dal cosiddetto “decreto Bersani”), ma costituiscono un criterio orientativo per la determinazione del compenso; in altri termini, non è esclusa, in via di principio, la possibilità che le parti pattuiscano liberamente il compenso anche in deroga ai parametri di liquidazione indicati nei citati decreti ministeriali (in particolare, art. 1, comma 7, del DM n. 140 del 2012);
– tanto è confermato dalla stessa Corte di Cassazione con le recenti pronunce Cass. Civ., sez. II, 17 gennaio 2018, n. 1018 e 31 agosto 2018, n. 21487; in particolare, nella prima delle citate pronunce si legge testualmente: “… il D.M. n. 140, risulta essere stato emanato (D.L. n. 1 del 2012, conv. nella L. n. 27 del 2012) allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale; per contro, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55, il quale non prevale sul D.M. n. 140, per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione resistente, non è il D.M. n. 140 – evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l’intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto) – a prevalere, ma il D.M. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa …”;
– tuttavia, quando il cliente è un contraente forte – ovvero, come nella specie, la pubblica amministrazione – la pattuizione del compenso professionale incontra il limite del rispetto del principio dell’equo compenso (inteso, si ribadisce, come proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione), che va armonizzato con le esigenze di riequilibrio finanziario e non recedere rispetto ad esse (TAR Campania Napoli, sez. I, ordinanza n. 1541 del 25 ottobre 2018).
Posti i principi innanzi richiamati, il Collegio ha accolto nel merito il ricorso, avendo rilevato che nei provvedimenti impugnati “non risulta sulla base di quali parametri l’Amministrazione sia giunta alla determinazione del compenso annuo al professionista per l’incarico in questione, né se la stessa abbia fatto applicazione, a tale fine, del principio dell’equo compenso; ciò anche avuto riguardo alle risultanze della consulenza tecnica di parte versata in atti (non contestata), dalla quale emerge che, sulla base dei parametri di liquidazione di cui al DM n. 140 del 2012, la determinazione del compenso annuo spettante per la prestazione professionale in parola sarebbe di molto superiore” a quanto previsto dall’avviso pubblico.
La sentenza, al pari di alte consimili, ci auguriamo che possa servire ad accontentare qualche “criticone” che, senza avere neppure letto la norma di favore ottenuta dal legislatore nel dicembre 2017, ne ha sentenziato l’inutilità al pari di quella delle rappresentanze istituzionali e politico forensi che l’hanno faticosamente ottenuta (taluni anche contribuendo alla scrittura della norma…).
Appena si formeranno tanti altri precedenti giurisprudenziali, apprezzeremo finalmente gli effetti positivi della previsione legislativa (nel Lazio, peraltro, rinforzata dalla legge regionale n. 6 del 2019).
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