Il Tar del Lazio insiste nel “bocciare”la motivazione in forma numerica per l’esame di abilitazione forense.

Il Tar di Roma, con sentenza n. 9418 del 14 luglio 2015 ha ribadito l’orientamento che si sta consolidando anche presso altri Tar nel ritenere illegittima la non ammissione del candidato alle prove orali d’avvocato nel caso in cui le prove scritte siano state valutate solo con formula numerica.

Si riporta uno stralcio della sentenza: “…  non può non essere considerata rilevante la novella legislativa del settore, che ha imposto specifiche prescrizioni proprio al fine di garantire l’effettività dell’obbligo di motivazione.
In concreto, negli atti non si riscontra alcuna esternazione grafica o testuale della commissione esaminatrice, la quale possa fungere da tramite logico-argomentativo tra i criteri generali e l’espressione finale numerica del singolo giudizio.
Il giudizio di insufficienza della prova potrebbe quindi essere determinato, in ipotesi:
a) dalla violazione di un criterio già di per sé sufficientemente individuato, come ad esempio il criterio relativo alla correttezza grammaticale e sintattica, il cui contenuto è determinabile “per relationem” mediante il rinvio ai canoni comunemente accolti in materia;
b) dalla violazione di un criterio contenutistico “preliminare” formulato in termini generali, come – ad esempio – quello della “dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati, nonché degli orientamenti della giurisprudenza”.
Orbene, è evidente in primo luogo che il metodo seguito nella specie non consente al candidato neppure di sapere se si verta nell’ipotesi sub a) ovvero nell’ipotesi sub b). Inoltre, con riferimento specifico all’ipotesi sub b), è altrettanto evidente che il criterio formulato anteriormente allo svolgimento delle prove non può ovviamente riferirsi agli argomenti specifici che sono oggetto delle tracce assegnate. Solamente in base alla traccia è infatti possibile stabilire quali siano i fondamenti teorici degli istituti rilevanti nel caso di specie e i relativi orientamenti giurisprudenziali, graduandone per così dire l’esigibilità concreta in relazione alle caratteristiche della prova: il che consentirebbe – poniamo – di ritenere sufficienti gli elaborati i quali – “ceteris paribus” – diano conto almeno della tesi A e della tesi B, anche se non della tesi C (la cui menzione potrebbe essere considerata, invece, ai fini dell’attribuzione di un voto più alto).
10. – Ad avviso del Collegio, quindi, in assenza della predeterminazione normativa di un metodo (come quello introdotto “de futuro” dalla menzionata novella del 2012) è possibile immaginare vari sistemi di motivazione del giudizio, incentrati su un’ulteriore specificazione contenutistica dei criteri di correzione a seguito dello svolgimento delle prove, ovvero sul ricorso a espressioni grafiche o verbali.
Non è invece ammissibile che – come è accaduto nella specie – questo ambito sia sottratto a qualsiasi forma di esternazione e quindi di conoscibilità da parte del destinatario del giudizio.
Si tratta infatti dell’ambito nel quale si celano in realtà gli elementi presupposti essenziali che vanno a costituire una vera e propria “catena di giudizi”, la quale sfocia poi nella valutazione finale, che viene infine sintetizzata nel voto numerico.
Del resto, con riferimento alla motivazione come formula conclusiva di una valutazione che ha preso le mosse dalla proposta di elaborato contenuta nella traccia ed ha autolimitato la sua espansione nel delicato momento della elaborazione, ed ostensione, dei criteri di valutazione, si è espressa anche la Cassazione con riferimento alle prove del concorso notarile. Ad esempio, secondo la decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione 21 giugno 2010 n. 14893 il legislatore ha richiesto alla commissione esaminatrice di darsi criteri che non si riducano alle note, tautologiche, formule sul necessario omaggio alle esigenze di rigore e correttezza espositiva, di pertinenza argomentativa e di esibizione culturale da parte del candidato, ma che siano le “regole-guida”, predeterminate e pertanto non mutabili, di quanto con la traccia proposta viene richiesto e di quanto (in specie nell’ottica aperta propria della opinabilità delle soluzioni giuridiche) ci si attende, in termini di risultato finale rappresentante lo standard minimo per una valutazione di idoneità.
Il “vacuum” motivazionale si incunea praticamente nel cuore stesso dell’esercizio della funzione amministrativa, pregiudicando la soddisfazione del parametro dell’art. 3 della legge n. 241/1990, interpretato alla luce dei principi costituzionali di imparzialità e dell’art. 41 della Carta di Nizza, che espressamente prevede l’obbligo di motivazione come un aspetto del diritto ad una buona amministrazione. In particolare, in base a quanto affermato dalla Corte Costituzionale, l’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell’azione amministrativa, ai quali va riconosciuto il valore di principi generali, diretti ad attuare sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti della stessa amministrazione ( artt. 24 e 113 Cost). L’obbligo di motivazione, quindi è radicato da un lato negli artt. 97 e 113 della Costituzione, in quanto costituisce corollario dei principi di buon andamento e d’imparzialità dell’amministrazione e, dall’altro, nell’articolo 24 della Costituzione, in quanto consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale (cfr. Corte cost., 5 novembre 2010 n. 310, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art 14 del decreto legislativo 16 dicembre 2008 n. 81 che escludeva l’obbligo di motivazione per i provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale per violazione delle norme sul lavoro).
Ritiene dunque il Collegio, conclusivamente, di ritenere fondate i motivi di doglianza relativi alla insufficiente motivazione del giudizio negativo espresso dalla commissione valutatrice in ordine alle prove svolte dalla odierna parte ricorrente…”.

Marco Di Giuseppe

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