La regolarità o conformità catastale è condizione di validità dell’atto di compravendita dell’immobile, ai sensi dell’art. Art. 29 L. 52/1985 c.1-bis e 1-ter, come modificato dal D.L. 78/2010 (Decreto legge n. 78 del 2010, articolo 19, comma 14, come convertito in Legge 30 luglio 2010, n. 122), secondo il quale:
“Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”
La norma prevede, a pena di nullità, un vero e proprio onere dichiarativo a carico degli intestatari dell’atto, sulla dichiarazione di conformità allo stato di fatto dell’immobile e sulla conformità dei dati catastali, requisito distinto rispetto al primo ma ugualmente richiesto a pena di nullità, costituendo il riscontro delle caratteristiche patrimoniali dell’immobile rilevanti ai fini fiscali (Cass. Civ. n. 39403/2021).
Gli atti devono contenere quindi, oltre ai riferimenti catastali e le planimetrie dei fabbricati, anche la dichiarazione resa dagli intestatari degli immobili che quanto presente sulle planimetrie allegate è conforme con quanto depositato in Catasto.
La mancanza di queste dichiarazioni determina la nullità dell’atto, e dunque l’invalidità della compravendita o dell’atto relativo all’immobile (art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985 n. 52, introdotto dall’art. 19, comma 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, come risultante dalla legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122).
In tema di nullità per assenza del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, l’art. 46 comma 1 del T.U. Edilizia dispone:
“Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”.
Sulla portata effettiva del regime di nullità, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a chiarire la distinzione tra l’ipotesi di difformità totale o variazione essenziale e l’ipotesi di variazione parziale non essenziale « sulla possibilità di applicare, in tema di validità degli atti traslativi, la distinzione – elaborata in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre – tra variazione essenziale e variazione non essenziale dell’immobile dedotto in contratto rispetto al progetto approvato dall’amministrazione comunale ».
La ragione che, ad avviso del Collegio rimettente, rendeva opportuna la rivalutazione, da parte delle sezioni Unite, della natura formale o sostanziale della nullità urbanistica è, in ultima analisi, «una ragione di bilanciamento tra le esigenze del contrasto all’abusivismo (che potrebbero ritenersi sufficientemente tutelate dalla nullità formale derivante dalla mancata menzione nell’atto di trasferimento degli strumenti concessori dell’immobile ivi dedotto) e le esigenze di tutela dell’acquirente nel caso di una difformità dell’immobile dal titolo concessorio menzionato nell’atto che, al momento dell’acquisto, egli (o i suoi tecnici o il notaio rogante) non abbiano rilevato o, pur rilevandola, abbiano qualificato come difformità parziale e non essenziale.
Le Sezioni Unite, con sentenza del 22 marzo 2019 n. 8230, risolvendo il contrasto interpretativo, hanno precisato che “La nullità comminata dall’art. 46 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile.”
“In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”.
Pertanto, gli atti di trasferimento di diritti su immobili difformi da quelli descritti nel titolo urbanistico sono validi a condizione che gli estremi del titolo riportati nell’atto siano reali (non mendaci) e riferibili a quell’immobile, mentre è irrilevante e non costituisce motivo di nullità la difformità dell’immobile rispetto al titolo menzionato.
Avv. Francesco Giglioni