Sul ricorso dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura e su quello similare degli Ordini di Roma, Napoli e Palermo il TAR capitolino accoglie la censura centrale relativa all’illogicità e irrazionalità dei settori di specializzazione, così come erano stati individuati dal Ministero.
Così, il Ministro Orlando dovrà “rimettere le mani” al regolamento e riscrivere i settori nei quali i professionisti legali potranno specializzarsi.
Antonino Galletti, amministrativista romano e difensore dell’OUA, ha dichiarato che “il TAR romano per la secondo volta consecutiva ferma i regolamenti sul titolo di avvocato specialista. La prima volta era intervenuto contro il regolamento del Consiglio Nazionale Forense e questa volta nei confronti di quello predisposto dal Ministero“.
“Per evitare ulteriori ed inutili accanimenti terapeutici“, prosegue Galletti, “è opportuno che il nuovo intervento ministeriale sia condiviso con gli Ordini e le rappresentanze istituzionali e politiche degli avvocati, perché i cittadini e l’avvocatura hanno bisogno di professionisti qualificati, ma seriamente e non soltanto pro forma ed a vantaggio delle lobbies dei formatori“.
Ecco di seguito, il passaggio centrale della sentenza n. 4424/2016 della Sezione Prima del TAR romano:
“Con il terzo motivo di doglianza, i ricorrenti hanno censurato l’art. 3 del regolamento, contente la suddivisione dei settori di specializzazione, la quale, a loro giudizio, sarebbe intrinsecamente irragionevole ed arbitraria, oltre che illogicamente omissiva di discipline giuridiche oggetto di codificazione (diritto dei consumatori) o di discipline oggetto di giurisdizioni dedicate (Corte dei conti), ciò che paleserebbe l’assenza di parametri oggettivi di riferimento per l’individuazione degli stessi.
La prospettazione deve essere condivisa.
Né dalla mera lettura dell’elenco, né dalla relazione illustrativa del Ministero è dato, infatti, cogliere quale sia il principio logico che ha presieduto alla scelta delle diciotto materie.
Ed infatti non risulta rispettato né un criterio codicistico, né un criterio di riferimento alle competenze dei vari organi giurisdizionali esistenti nell’ordinamento, né infine un criterio di coincidenza con i possibili insegnamenti universitari, più numerosi di quelli individuati dal decreto. L’incompletezza dell’elenco era stata già rilevata dal Consiglio di Stato che si è pronunciato in sede consultiva sullo schema di regolamento, con rilievo al quale il Ministero si è adeguato in maniera parziale.
Piuttosto sembra che si sia attinto, solo per frammenti, a ciascuno di tali criteri, senza che tuttavia emerga un unitario filo logico di selezione. Considerata la delicatezza della disciplina posta e la necessaria funzionalizzazione della normazione secondaria alla perseguita finalità di rendere il mercato delle prestazioni legali più leggibile per i consumatori, non è dunque possibile condividere l’argomentazione difensiva spesa dall’amministrazione e dagli interventori ad opponendum, secondo cui la censura impingerebbe in una valutazione di merito riservata all’amministrazione.
Ed infatti, anche le valutazioni e le scelte rimesse all’attività regolamentare non possono sottrarsi al rispetto dei principi di intrinseca ragionevolezza e di adeguatezza rispetto allo scopo perseguito.
L’attuale irragionevolezza della disposizione, infine, diversamente da quanto sostenuto dagli interventori ad opponendum, non può essere elisa dalla teorica (e futura) possibilità di revisione dell’elenco prevista dall’art. 4 del d.m.
L’art. 3 del regolamento deve essere, di conseguenza, annullato in parte qua”.