Affinché sia possibile procedere con l’espropriazione del bene appartenente al privato, devono avverarsi contemporaneamente tre condizioni. In primo luogo, essa è consentita nei soli casi tassativamente previsti, configurandosi così una riserva di Legge assoluta.
Secondo presupposto è che l’azione ablativa sia necessariamente motivata da ragioni ascrivibili al pubblico interesse.
Terza ed ultima condizione è data dalla previsione, a fronte della privazione subìta, della corresponsione di un’indennità al proprietario, modulata sul valore di mercato del bene espropriato.
Tali requisiti, richiamati dall’art. 43 della Costituzione e dall’art. 834 del codice civile, sono poi trasposti nel D.p.r. 237/2001 (c.d. Testo Unico espropri) agli articoli 1 e 2, nei quali vengono in rilievo, rispettivamente, le opere pubbliche, ovvero di pubblica utilità e la riserva di Legge nella disciplina dell’espropriazione.
L’espressa diversificazione operata dalla norma tra le opere pubbliche e le opere di pubblica utilità, peraltro, vale ad ammettere la possibilità di espropriazione della res anche qualora le opere alle quali l’ablazione è preordinata siano realizzate da soggetti privati, a patto che soddisfino comunque un interesse generale, ancorché ascrivibile ad una collettività determinata e non diffusa.
La previsione di una procedura altamente invasiva com’è quella di esproprio, tuttavia, rappresenta circostanza pacificamente eccezionale rispetto al regime giuridico ordinario cui soggiace il diritto di proprietà, atteso che l’espropriazione mira sì alla soddisfazione di esigenze pubbliche, ma non può certo considerarsi ordinario strumento per il perseguimento di tali esigenze.
Viene, dunque, agevolmente in rilievo la natura di extrema ratio del procedimento espropriativo, cui ricorrere in casi eccezionali, qualora la misura si configuri non solo come necessaria, ma anche come l’unica concretamente attuabile per l’effettiva soddisfazione degli interessi pubblici ad essa causali.
Nel caso di terreno concesso in locazione a società di telecomunicazioni, potrebbe accadere che l’Operatore, a causa di una eccessiva onerosità del canone inizialmente pattuito, possa perseguire l’idea dell’espropriazione del terreno.
Sulla scorta delle considerazioni svolte, non può che rilevarsi la necessaria attrazione delle opere destinate alla implementazione di antenne telefoniche, nonché di opere a queste ultimi affini e preordinate, nella categoria di opere di pubblica utilità, la cui realizzazione si configura come funzionale al sotteso interesse collettivo – ancorché afferente una collettività determinata – di poter fruire del sistema di comunicazione telefonica e di rete.
Tuttavia, pur costituendo l’attività della società di comunicazioni opera di pubblica utilità, nel caso di rapporto di locazione, non sembra potersi ammettere la sussistenza dei presupposti necessari all’avvio di procedura espropriativa, atteso che l’Operatore è altresì conduttore nel rapporto e, pertanto, si trova già nella condizione di poter espletare le opere predette, a fronte del pagamento del canone di locazione.
Difatti, i termini contrattuali accettati in precedenza dalla Società di comunicazioni, così come una eventuale valutazione di sopravvenuta eccessiva onerosità del canone di locazione pattuito, non possono essere oggetto di sindacato unilaterale da parte dell’Operatore, al fine di conseguire acquisto a titolo originario della proprietà mediante la procedura espropriativa.
In tal caso, difatti, la procedura espropriativa verrebbe ad essere svuotata della propria natura di misura tipicamente eccezionale, potendosi perseguire il medesimo interesse pubblico mediante azioni meno invasive e con minor sacrificio degli interessi privati, restando l’ablazione rimedio estremo cui dare impulso solo allorché l’interesse pubblico non sia altrimenti perseguibile.
Dott. Matteo Di Battista – Foro di Roma