La corrispondenza tra colleghi non producibile né riferibile in giudizio: presupposti e ratio.
L’art. 48 ncdf (già art. 28 codice previgente) vieta di produrre o riferire in giudizio
- la corrispondenza espressamente qualificata come riservata quale che ne sia il contenuto, nonché
- quella contenente proposte transattive scambiate con i colleghi a prescindere dalla suddetta clausola di riservatezza.
Tale norma deontologica è dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale e, salve le eccezioni previste espressamente, prevale persino sul dovere di difesa.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Losurdo), sentenza del 15 dicembre 2016, n. 362
NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco, rel. Iacona), sentenza del 20 ottobre 2016, n. 315, Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Broccardo), sentenza del 28 luglio 2016, n. 259, Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Del Paggio), sentenza del 25 luglio 2016, n. 215, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco, rel. Orlando), sentenza del 11 giugno 2016, n. 158, Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Picchioni), sentenza del 23 luglio 2013, n. 135, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Neri), sentenza del 20 luglio 2012, n. 98.
La corrispondenza tra colleghi dichiarata “riservata” non può essere prodotta (né riferita) in giudizio a prescindere dal suo contenuto
L’art. 28 del Codice Deontologico vieta non solo di produrre la corrispondenza riservata ma anche di riferirne in giudizio il contenuto, sussistendo riservatezza sia nell’ipotesi in cui la missiva contenga proposte transattive sia in quella in cui venga espressamente definita come riservata dal mittente (quale che ne sia il contenuto).
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Salazar, rel. Marullo Di Condojanni), sentenza del 21 novembre 2017, n. 177
Mittente e destinatario.
Il divieto di produzione in giudizio della corrispondenza riguarda anche la corrispondenza propria, giacché l’art. 48 codice deontologico (già art. 28 codice previgente) non distingue tra mittente e destinatario e, inoltre, la ratio della norma (cioè assicurare la libertà di corrispondenza tra colleghi e lo scambio di scritti tra loro senza riserve mentali o timori che essi possano essere oggetto di produzione o divulgazione in giudizio) sarebbe radicalmente vanificata qualora il mittente della lettera “riservata” potesse fare cadere motu proprio e unilateralmente tale caratteristica e disporne a piacimento, anche producendola o riferendola in giudizio, costringendo il destinatario a temere che tale evento possa sempre verificarsi: il rischio che tale ipotesi si possa concretizzare, infatti, indurrebbe il destinatario ad introdurre riserve e cautele nella risposta (evitando sempre, ad esempio, ammissioni o consapevolezze di torti) così limitando comunque la sua sfera di libertà e snaturando, quindi, la finalità del divieto.
L’art. 48 ncdf (già art. 28 codice previgente) vieta di produrre o riferire in giudizio la corrispondenza espressamente qualificata come riservata quale che ne sia il contenuto, nonché quella contenente proposte transattive scambiate con i colleghi a prescindere dalla suddetta clausola di riservatezza. Tale norma deontologica è dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale e, salve le eccezioni previste espressamente, prevale persino sul dovere di difesa.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Siotto), sentenza del 1° dicembre 2017, n. 194
Il divieto di produrre o riferire in giudizio corrispondenza riservata riguarda anche il mittente della stessa.
Il divieto di produzione in giudizio della corrispondenza riguarda anche la corrispondenza propria, giacché l’art. 48 codice deontologico (già art. 28 codice previgente) non distingue tra mittente e destinatario e, inoltre, la ratio della norma (cioè assicurare la libertà di corrispondenza tra colleghi e lo scambio di scritti tra loro senza riserve mentali o timori che essi possano essere oggetto di produzione o divulgazione in giudizio) sarebbe radicalmente vanificata qualora il mittente della lettera “riservata” potesse fare cadere motu proprio e unilateralmente tale caratteristica e disporne a piacimento, anche producendola o riferendola in giudizio, costringendo il destinatario a temere che tale evento possa sempre verificarsi: il rischio che tale ipotesi si possa concretizzare, infatti, indurrebbe il destinatario ad introdurre riserve e cautele nella risposta (evitando sempre, ad esempio, ammissioni o consapevolezze di torti) così limitando comunque la sua sfera di libertà e snaturando, quindi, la finalità del divieto.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Salazar, rel. Marullo Di Condojanni), sentenza del 21 novembre 2017, n. 177