La materia del danno da ritardo ha trovato formale riconoscimento normativo – in relazione all’esercizio dei poteri pubblici – con l’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990, introdotto dalla lett. c) del comma 1 dell’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69, il quale così recita: “Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 7 del 15 settembre 2005, aveva chiarito che il giudice amministrativo era tenuto a riconoscere il risarcimento del danno da ritardo causato al privato dal comportamento inerte dell’Amministrazione solo in caso di accertamento dell’ingiustizia del danno e, tale ingiustizia andava verificata tramite l’accertamento della spettanza del c.d. bene della vita.
Sulla base di tale ragionamento, era stato escluso il risarcimento del danno da ritardo provvedimentale c.d. “mero” (attesa la necessità di verificare l’effettiva debenza del bene della vita finale sotteso all’interesse legittimo azionato), precisandosi che, in linea di principio, il mero “superamento” del termine fissato “ex lege” per la conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra la “piena prova del danno” (CdS, Sez. V, 13 gennaio 2014 n. 63).
Il solo ritardo nell’emanazione di un atto è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, quando tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario (Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406; Sez. IV, 23 marzo 2010, n. 1699) o se sussistano fondate ragioni per ritenere che l’interessato avrebbe dovuto ottenerlo (Consiglio di Stato, sez. IV, 1 luglio 2013, n. 3533).
Il suddetto orientamento ha addirittura aperto la strada a quello secondo il quale l’annullamento del provvedimento amministrativo per vizi formali – tra i quali si può annoverare non solo il difetto di motivazione, ma anche – e soprattutto – i vizi del procedimento – non reca di per sé alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato ope iudicis e non può pertanto costituire il presupposto per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno (CdS, Sez. V, 13 gennaio 2014 n. 63 cit.).
In tale contesto, merita di essere segnalata l’apertura operata dal T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-bis, 14 ottobre 2014, n.10330, il quale ha rimodulato il concetto d’ingiustizia del danno da ritardo ritenendo che il relativo giudizio sia stato eseguito a monte dal legislatore e non sia più ancorato, se non sotto il profilo quantitativo, alla prognosi circa la spettanza o meno del bene della vita richiesto.
Secondo i giudici capitolini, con la formulazione dell’art. 2 bis L. 241/1990 il criterio interpretativo sulla spettanza o meno del “bene della vita” appare superato, con conseguente ammissibilità del risarcimento del danno da ritardo indipendentemente dal contenuto – favorevole o sfavorevole – dell’emanato o emanando provvedimento.
L’apertura, tuttavia, seppur significativa, non appare tale da legittimare aprioristiche richieste risarcitorie per il solo fatto del ritardo, preferendosi selezionare la tipologica di pregiudizio risarcibile che, aderendo all’orientamento giurisprudenziale dominante, risulta essere non quello relativo al “tempo perso” bensì il diverso danno specificamente prodottosi nella sfera giuridica del soggetto “in conseguenza della inosservanza del profilo temporale”.
Dunque, secondo il Tar di Roma diviene ammissibile, stante il tenore letterale dell’art. 2 bis L. n. 241/1990, il risarcimento del danno da ritardo indipendentemente dal contenuto – favorevole o sfavorevole – dell’emanato o emanando provvedimento.
Altra lieve apertura della giurisprudenza, seppure settorialmente limitata e non limitata al pregiudizio da ritardo, riguarda l’accertamento del profilo soggettivo della Pubblica Amministrazione emanante un atto e/o provvedimento illegittimo (c.d. colpevolezza).
A riguardo, va precisato che la sua sussistenza non può essere dichiarata in base al solo dato oggettivo della illegittimità del provvedimento adottato o dell’illegittimo ed ingiustificato procrastinarsi dell’adozione del provvedimento finale, essendo necessaria anche la dimostrazione che la P.A. abbia agito con dolo o colpa grave, di guisa che il difettoso funzionamento dell’apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento gravemente negligente od ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese ed inescusabile contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 della Costituzione.
Quindi, ai fini dell’ammissibilità dell’azione risarcitoria, deve in concreto accertarsi se l’adozione o la mancata o ritardata adozione del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza di comportamento doloso o della grave violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio della funzione, e se tale comportamento sia stato posto in essere in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’amministrazione, ovvero se, per converso, la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2013, n. 3133; Sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2419; Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406).
In tale contesto giurisprudenziale, la V Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 5115 del 14 ottobre 2014 ha statuito che“..Per effetto della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 30 settembre 2010, causa C-314/09 limitatamente al settore dei contratti pubblici non grava sul ricorrente danneggiato l’onere di provare che il danno derivante dal provvedimento amministrativo illegittimo è conseguenza di un comportamento colposo dell’Amministrazione, con la conseguenza che quest’ultima soltanto in tali evenienze non può sottrarsi all’obbligo di risarcire i danni cagionati dal suo provvedimento illegittimo adducendo l’insussistenza di dolo o di colpa nel suo operato..”.
Tale apertura, per ora settorialmente limitata ai contratti pubblici, va a saldarsi con il regime probatorio che sussiste in materia di risarcimento del danno da parte della P.A., dove sul piano processuale si assiste a un’inversione dell’onere della prova (analoga a quella che caratterizza la responsabilità contrattuale) con la conseguenza che spetta al debitore (P.A.) il dovere di fornire la prova negativa dell’elemento soggettivo (ad es. per errore scusabile) e non al creditore (privato) quella della sua esistenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439; Sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204; Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169).
Il solco è oramai tracciato e, salvo eventuali “tranelli” legislativi o giudiziari, sembra essersi aperta la porta che separa il regime che disciplina la responsabilità della P.A. in Italia da quello del resto dell’Unione Europea.
Avv. Marco Di Giuseppe
Studio Legale Galletti Law