Credo fermamente che l’accesso alla giustizia sia un diritto costituzionale e inviolabile, che non dovrebbe mai essere subordinato al pagamento di alcun onere tributario.
Ho ribadito ovunque questa convinzione che oggi si pone in netto contrasto con le modifiche introdotte dalla legge di bilancio 2025.
In particolare, l’aggiunta del comma 3.1 all’art. 14 del DPR 30 maggio 2002, recante il testo unico sulle spese di giustizia, prevede che – salvo i casi di esenzione – non sia possibile iscrivere a ruolo i giudizi civili senza il pagamento dell’importo di almeno 43 euro, come stabilito dall’art. 13, comma 1, lettera a, del medesimo DPR.
Ritengo che debba essere affermata non solo la contrarietà a qualunque normativa che ostacoli l’accesso alla giustizia attraverso vincoli economici, ma anche che si possa introdurre un sistema di agevolazioni.
In particolare, ritengo che una riduzione del contributo unificato per chi provveda tempestivamente al versamento, oppure una sanzione ridotta per chi regolarizzi la propria posizione prima della definizione del giudizio, rappresentino soluzioni più equilibrate anche nell’interesse dello stesso erario.
Il pensiero espresso nel 1855 da Pasquale Stanislao Mancini, ministro della giustizia del Regno d’Italia e primo presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, risuona ancora oggi con straordinaria attualità:
«La giustizia, standosi al rigore dei principii, esser debbe gratuita; è interesse non dei privati soltanto, ma della società intera, che essa abbia un impero assicurato; ed è il più deplorabile fallo della pratica finanziaria quello di prelevare un tributo sugli atti necessari all’amministrazione giudiziale ed alle garentie dei diritti, come se non fosse questo il primo e più sacro debito dell’autorità sociale. Ma se i bisogni dello Stato e le inveterate abitudini fanno di questo desiderio ai nostri giorni un’utopia senza credito, uopo è almeno che la giustizia sia gratuita pel povero, se non si voglion destituir di protezione tutti i diritti appartenenti alle classi più numerose ed infelici, e che essa sia altresì economica ed a buon mercato per tutti. Quando per accostarsi al santuario delle leggi è necessario portar le mani piene di oro, per isbramare le fiscali e curiali avidità, si cede il campo ai temerari ed ai malvagi, ed una comune prudenza determinerà sovente il cittadino a sopportare in pace i torti anche gravi piuttosto che ricorrere a mezzi cotanto onerosi di riparazione. Allora le liti divengono il lusso dei ricchi, la giustizia un loro privilegio, e non un bene ed un diritto egualmente garentito a tutti; e le spese dei processi si trasformano nelle mani dei litiganti di mala fede in formidabili istrumenti di oppressione e di stanchezza a danno dei loro avversari» (così P. S. MANCINI, G. PISANELLI, A. SCIALOJA, Commentario del codice di procedura civile per gli stati sardi con la comparazione degli altri codici italiani e delle principali legislazioni straniere, Torino, 1855, II, 13).
Tali principi ci ricordano che la giustizia non deve mai trasformarsi in un privilegio riservato a pochi, ma deve rimanere un bene comune accessibile a tutti.
Confido che queste riflessioni di inizio anno possano stimolare un dialogo costruttivo nella comunità forense, affinché la giustizia torni a essere baluardo di equità e accessibilità per tutti i cittadini, senza esclusioni o privilegi.
Antonino Galletti, Presidente emerito associazione Azione Legale e Consigliere Nazionale Forense