Anche nella giornata di martedì 12 maggio 2020 il Ministero dell’Interno ha pubblicato il resoconto delle attività di controllo effettuate da parte delle forze di polizia alla luce delle nuove disposizioni emanate in materia di libertà personali introdotte dalla c.d. fase 2.
Dal sito del Ministero (https://www.interno.gov.it/it/notizie/controlli-dell11-maggio-verificate-161603-persone-e-65759-attivita), emerge che sono state controllate – in data 11 maggio – 161.603 persone delle quali 1.783 sanzionate, 39 denunciate per false dichiarazioni o attestazioni e 4 per inosservanza del divieto di allontanarsi dall’abitazione per quarantena.
Oltre alle 1.937 sanzioni di carattere amministrativo, vi sono 39 denunce all’Autorità Giudiziaria per i reati previsti e puniti dal Titolo VII del Codice Penale, che ha come finalità quello di tutelare la fede pubblica.
Sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria si è dibattuto in merito alla corretta fattispecie di reato da applicare ai singoli casi concreti, considerato che nell’attuale contesto pandemico il cittadino è stato spesso costretto a districarsi nei meandri di una normativa emergenziale poco chiara e di non univoca interpretazione.
Nell’ormai celebre “autodichiarazione” resa ai sensi degli artt. 46 e 47 DPR 445/2000 di recente aggiornato alle sopravvenienze normative, con cui ciascun cittadino è chiamato a motivare i propri spostamenti, il privato afferma di essere consapevole delle conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale ai sensi dell’art.495 c.p., punito con la pena della reclusione da uno a sei anni.
Preme evidenziare come da una sommaria lettura del titolo dell’art 495 c.p., è possibile notare che la condotta punita è la “falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”. Per configurare il reato in questione, le dichiarazioni mendaci devono aver ad oggetto l’identità, e dunque il nome il cognome, la data e il luogo di nascita, la paternità e la maternità; o lo stato ovvero la cittadinanza, la capacità di agire, stato libero o coniugale, parentela ecc.
Pertanto, colui che viene fermato per un controllo può essere denunciato ai sensi dell’art. 495 c.p., esclusivamente nel caso in cui l’oggetto della dichiarazione non sia corrispondente a verità e rientri nel novero delle opzioni sopra citate.
Ben diverso e con maggiori profili di criticità appare la fattispecie prevista e punita dall’art. 483 c.p., rubricata “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”, la quale prevede che chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale in un atto pubblico fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità è punito con la reclusione fino a due anni.
La norma intende punire il soggetto che attesta falsamente – all’interno dell’autodichiarazione che il privato consegnerà al pubblico ufficiale al momento del controllo – attestazioni che non corrispondono alla realtà fattuale (si pensi alla falsa motivazione che il soggetto rende al P.U. per giustificare il proprio spostamento da casa. (es. sto andando a lavoro presso, sto portando medicinali ad un parente, mi sto recando da un congiunto in via…).
Orbene, è importante specificare che per integrare il reato, l’oggetto del falso deve essere riferito esclusivamente a fatti già compiuti; nel caso in cui l’oggetto del falso dovesse essere una mera intenzione o un fatto non ancora realizzato non sarebbe configurabile la fattispecie delittuosa, in quanto sarebbe attestata una mera intenzione che non rientra nel novero delle falsità penalmente rilevanti.
La corretta qualificazione giuridica delle condotte sopra esposte previste dai reati 495 c.p. e 483 c.p., considerato il labirinto normativo che il contesto emergenziale ci impone, appare fondamentale oltre che per il diverso carico sanzionatorio (ben più lieve quello indicato nell’art. 483 c.p. che prevede la reclusione fino a due anni) anche per le eventuali strategie processuali da adottare nel procedimento.
Basti pensare che la pena prevista dall’articolo 495 c.p., preclude l’accesso ad una serie di istituti processuali caratterizzati da profili premiali che, viceversa, potrebbero applicarsi senza problema in caso di contestazione dell’art. 483 c.p. come la messa alla prova ex. art. 168 bis e – perché no- l’estinzione del reato per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis.
Da tali brevi considerazioni emergono numerose criticità che nell’ attuale contesto pandemico pongono il cittadino davanti a prescrizioni normative, anche di natura penale, poco chiare che mettono a rischio la tenuta del principio di legalità secondo cui soltanto una regola precisa e non equivoca permette al cittadino di prestarvi rispetto.
Avv. Andrea Belli