Nel giorno dedicato a Sant’Antonio da Padova, il TAR capitolino dedica agli avvocati italiani ben quattro sentenze.
Con tre sentenze (n. 8332, n. 8333, n. 8334 depositate il 13.6.2015) sono stati accolti (in parte) i ricorsi di talune associazioni forensi e qualche avvocato i quali lamentavano l’eccesso di potere del regolamento ministeriale (il DM 170/2014) che ha disciplinato le modalità di svolgimento delle elezioni forensi per assicurare il rinnovo dei COA già prorogati ex lege (art. 65 L. 247/2012) al 31.12.2014.
La quarta sentenza (n. 8335) ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso interposto da un ricorrente romano avverso il medesimo regolamento (per essersi questi prima candidato in modo da fare acquiescenza alla disciplina poi ritenuta illegittima nell’impugnativa al TAR).
In particolare, i giudici amministrativi, nei ricorsi accolti, hanno dichiarato l’illegittimità degli articoli 7 e 9 del regolamento ministeriale nella parte in cui:
a) consentono a ciascun elettore di esprimere un numero di preferenze pari al numero di candidati da eleggere;
b) consentono la presentazione di liste che contengano un numero di candidati pari a quello dei consiglieri complessivamente da eleggere e
c) prevedono che le schede elettorali contengano un numero di righe pari a quello dei componenti complessivi del consiglio da eleggere.
In definitiva, anche “tenendo conto di quanto statuito dal Giudice dell’appello cautelare“, il TAR romano ha ritenuto “che il coordinamento tra i due commi dell’art. 28 della legge imponga una valutazione di illegittimità delle disposizioni regolamentari impugnate, in considerazione del fatto che queste ultime, diversamente da quanto stabilito dal legislatore primario, hanno operato nel senso di tutelare l’obiettivo dell’equilibrio di genere, posto dal comma 2, a scapito della finalità di tutela del pluralismo, posta invece dal comma 3.
Deve in primo luogo rilevarsi come il comma 3, nello stabilire il numero massimo di voti che ciascun elettore può esprimere, introduce un’ipotesi di voto limitato, ossia conferisce a ciascun elettore il potere di esprimere unumero di preferenze inferiore al numero di candidati da eleggere.
Conformemente a quanto ritenuto in dottrina e in giurisprudenza, tale scelta del legislatore è finalizzata alla tutela delle minoranze o, comunque, all’effetto di consentire una più ampia e pluralistica rappresentanza all’interno dell’organo eligendo...
Dunque, secondo i giudici romani, “per una precisa e netta scelta del legislatore, nelle elezioni dei consigli degli ordini forensi il numero di preferenze individuato a norma del comma 3 si pone come limite massimo dei voti esprimibili dai singoli elettori, al fine di consentire al maggior numero di liste e, quindi, di orientamenti, anche non necessariamente politici, di ottenere la presenza di propri rappresentanti nel consiglio.
La inequivocità del contenuto precettivo del citato comma 3, in sostanza, non lascia spazio, secondo un criterio ermeneutico letterale e teleologico, ad una competenza regolamentare in punto di limite massimo delle preferenze esprimibili da ciascun elettore, mentre nella parte in cui la norma utilizza l’espressione “non superiore” la stessa consente una disciplina di dettaglio che attribuisca all’elettore la possibilità di esprimere un numero inferiore di preferenze; ciò che è pure confermato dal riferimento, contenuto nella stessa disposizione, all’approssimazione per difetto del numero ottenuto dall’operazione matematica di calcolo dei due terzi”.
Per il TAR è chiaro, dunque, “come entro il limite stabilito dal comma 3 debba muoversi l’interpretazione del comma 2, nel dettare il quale il legislatore ha perseguito la diversa e ulteriore finalità di individuare previsioni a tutela del genere meno rappresentato“.
In sostanza, conclude il TAR, prefigurando prossimi e necessari interventi ministeriali, “le misure e i meccanismi (questi sì rimessi alla competenza regolamentare del Ministero della giustizia) a mezzo dei quali garantire un risultato elettorale che rispetti l’equilibrio tra i generi, devono necessariamente articolarsi, con riferimento alle modalità di espressione del voto da parte di ciascun elettore, all’interno di un numero di preferenze pari al massimo ai due terzi dei consiglieri da eleggere o al numero intero inferiore alla suddetta frazione.
Il valore numerico così calcolato, in sostanza, andrà ulteriormente frazionato così da individuare una soglia minima di voti da destinare al genere meno rappresentato, in modo tale che solo chi esprima preferenze a favore di candidati appartenenti ad entrambi i generi potrà utilizzare tutti i voti di preferenza corrispondenti al numero determinato ai sensi del comma 3; numero che risulterà ovviamente “maggiore” del numero di preferenze esprimibile dall’elettore che, invece, esprima le sue preferenze a favore di candidati appartenenti ad un solo genere.
La possibilità di esprimere un numero di preferenze “maggiore”, in conclusione, opera all’interno del numero di preferenze esprimibili in base al comma 3, legittimando o, più correttamente, imponendo la previsione normativa un’ulteriore limitazione (e dunque un numero “inferiore”) dei voti esprimibili dall’elettore che intenda votare candidati appartenenti adn solo genere.
Tale meccanismo, in quanto destinato ad operare a monte del procedimento elettorale, appare poi conforme alla posizione espressa in materia dalla Corte costituzionale che ha riconosciuto la legittimità di disposizioni che, senza “prefigurare un risultato elettorale o (…) alterare artificiosamente la composizione della rappresentanza consiliare” individuino un meccanismo in forza del quale si predispone “una eguaglianza di opportunità particolarmente rafforzata da una norma che promuove il riequilibrio di genere nella rappresentanza consiliare” (sentenza n. 4 del 2010)”.
Dall’accoglimento del ricorso per i motivi di cui sopra, il Collegio ha dedotto l’assorbimento di ogni altra censura e “la sopravvenuta carenza di interesse all’esame della censura della disposizione che consente il voto di lista (articolo 9, comma 4, del regolamento), atteso che la necessaria riconduzione delle liste al limite massimo dei due terzi degli eligendi, rende inattuale la doglianza di contrasto di tale modalità di voto con i principi del pluralismo“.
Cosa faranno adesso il Ministro della Giustizia e i solerti funzionari ministeriali che hanno vergato il testo del regolamento? Daranno seguito alle sentenze del TAR capitolino e, dunque, individueranno con ogni doverosa urgenza la soglia minima di voti da destinare al genere meno rappresentato ovvero interporranno appello (magari con istanza di sospensione) dinanzi al Consiglio di Stato?
E cosa deciderà il CNF (appena rinnovato) negli oltre quaranta ricorsi pendenti, dove sono stati impugnati (ratione materie) gli esiti elettorali dei COA che, assai poco prudentemente, hanno già votato per il rinnovo sulla base del regolamento (in parte qua) appena dichiarato illegittimo dal TAR?
Quando potranno votare i COA che hanno prudentemente (dopo l’ordinanza, anticipatoria sul fumus, del Consiglio di Stato che aveva invitato il TAR alla sollecita fissazione del merito, prefigurando addirittura la violazione di precetti di portata Costituzionale da parte ministeriale) preferito attendere l’esito nel merito del contenzioso dinanzi al TAR?
Per rispondere a tutti i questiti e alle domande ci vorrebbe (a questo punto) la c.d. “palla di vetro”.
Certo è che se qualcuno avesse inteso dare un colpo (di grazia?) per affossare definitivamente il sistema ordinistico forense, all’esito della vicenda in questione, potrebbe ritenersi ben soddisfatto.
Anche la scelta del TAR (e forse anche del legislatore del 2012?) di preferire la tutela di tutto e di tutti (minoranze e genere meno rappresentato) a scapito della governabilità dei futuri COA desta non poco scetticismo e va in senso diametralmente opposto alle discipline elettorali che, almeno nei Paesi occidentali, vanno orientandosi nel senso di tutelare e garantire in primis la governabilità.
Del resto, aveva (ed ha) senso parlare di “minoranze” all’interno dei COA (enti pubblici non economici), dove tutti i Consiglieri eletti devono (o dovrebbero?) operare per il bene della famiglia forense che sono stati chiamati a rappresentare dagli iscritti?
Così, anche i COA “fortunati” e pacificati, dove negli ultimi decenni non vi sono state contrapposizioni e aggregazioni di candidati (l’un contro l’altro armati…), con l’interpretazione fornita dal TAR della legge di riforma, dovranno prevedibilmente “rassegnarsi” ad avere 1/3 di Consgilieri, per così dire, “oppositori” garantiti ex lege (o ex TAR?).
Siamo stati da sempre fieri oppositori, sia (e in primis) da punto di vista “tecnico” e sia dal punto di vista della politica forense, di gran parte della disciplina dettata dalla novella legge di riforma professionale (L. 247/2012) e ci sembra che, oggi più che mai, le conseguenze di una scelta sciagurata siano sotto gli occhi di tutti.