E’ possibile cedere tra privati i crediti vantati nei confronti di un Ente Previdenziale?
In una recente sentenza della Sezione Lavoro e Previdenza (n. 3609/2023 del 17.10.2023) in un ricorso patrocinato dal nostro Studio, la Corte di Appello di Roma ha ribadito che non sussiste alcun divieto legale alla cessione del credito contributivo fra privati, se regolarmente notificata all’Ente previdenziale ex artt. 69 e 70, r.d. 18.11.1923, n. 2440, e a prescindere dal consenso di questi.
Nel caso di specie, l’appellante impugnava la sentenza del Tribunale di Roma, Sez. Lavoro, che non aveva riconosciuto l’esistenza del suo credito nei confronti dell’INPS, cedutogli da altro soggetto privato, acquistato con atto notarile registrato presso l’Agenzia delle Entrate e notificato all’Ente a mezzo ufficiale giudiziario.
In particolare, l’INPS aveva eccepito l’inefficacia della cessione e, quindi la carenza di legittimazione del cessionario, per non aver l’Ente espressamente aderito alla cessione.
La Corte di Appello, invece, riformando la sentenza di primo grado, ha ritenuto valida ed efficace la cessione del credito rammentando che , “l’art. 1260 c.c. sancisce il principio della libera cedibilità dei crediti, il trasferimento del credito, quindi, si realizza in virtù del solo accordo tra il creditore cedente e il cessionario, indipendentemente dalla volontà del debitore c.d. ceduto” (si vs. anche Corte d’Appello di Napoli, n. 3590/2023).
“Particolari limiti alla cessione del credito di enti pubblici”, ricorda la Corte, “sono stabiliti con riguardo ad esempio agli appalti pubblici (ove si richiede in effetti il consenso del debitore pubblico ceduto: art. 9. L. 20.03.1865 n. 2248, all. E), ma si tratta di specifiche ipotesi di legge; negli altri casi, invece, è nota e frequente la cessione fra privati dei crediti fiscali, cui quelli contributivi possono essere assimilati”.
La cessione del credito realizza il trasferimento del diritto così come esistente tra i contraenti originari: il cessionario, quindi, subentra nella medesima posizione giuridica del cedente e, conseguentemente, il debitore ceduto può opporre al cessionario le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente.
Sulla scorta delle suindicate motivazioni, la Corte di Appello di Roma ha riconosciuto la validità ed efficacia della cessione dei crediti notificata all’Ente – pur in assenza di espressa adesione dello stesso – sulla cui eccezione il Tribunale di Roma aveva inizialmente rigettato la domanda del ricorrente – rammentando che non opera alcun divieto legale alla cessione di crediti previdenziali tra privati, se non nei casi tassativamente previsti dalla legge.
La sentenza ha, inoltre, ribadito che “il rapporto contributivo è un rapporto di dare-avere, per cui le varie poste attive e passive, a prescindere dalla diversità di voci di cui si compongono, determinano che i crediti e debiti possano essere tra loro messi a confronto con un mero calcolo aritmetico”.
Sul punto la Cassazione, già con la sentenza n. 479 del 1996 affermava proprio in tema di rapporto con l’INPS: “questa Corte, con giurisprudenza costante, ha sempre ritenuto che la compensazione in senso proprio presuppone l’autonomia dei due crediti, con la conseguenza che, quando si tratta di un unico rapporto, ancorché complesso, la questione si riduce ad un semplice calcolo di dare e avere, che può essere compiuto d’ufficio dal giudice. Nel caso di specie vi era un unico rapporto assicurativo tra le parti, dal quale nascevano le pretese e le eccezioni delle parti”.
La Corte di Appello, pertanto, ha riconosciuto operante anche la parziale compensazione, condannando l’Ente a riconoscere al cessionario l’importo del credito ceduto.
Avv. Francesco Giglioni