L’avvocato del genitore non può ascoltare né contattare in alcun modo la prole minorenne su questioni che riguardano controversie in materia familiare o minorile, mentre negli altri casi (controversie su materie diverse e/o difensore dello stesso minore) può farlo solo con il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale (avvisandoli che hanno facoltà di intervenire all’atto), sempre che non sussista un fondato conflitto di interessi con gli stessi (nel qual caso il consenso deve provenire da un curatore speciale all’uopo nominato). Ciò, peraltro, non contrasta con la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (ratificata con L. n. 176/1991), la quale infatti -nel garantire al “fanciullo” (rectius, al soggetto di età inferiore a diciotto anni) il diritto ad essere ascoltato in ogni vicenda, giudiziaria o amministrativa, che lo concerne, assicurandogli il diritto di esprimere la propria opinione- non vieta che, sul piano deontologico, all’avvocato ben possa farsi carico l’osservanza di tali regole e cautele, che non comprimono affatto il diritto del minore all’autodeterminazione, ma valgono piuttosto a conferire forza e validità giuridica alle scelte con cui il minore stesso si autodetermina (Nel caso di specie, l’avvocato aveva ricevuto in studio un diciassettenne alla presenza della madre dichiarata decaduta dalla potestà -ora responsabilità- genitoriale, senza il consenso del padre affidatario, informato solo successivamente. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per mesi sei).
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Baffa), sentenza n. 38 del 6 maggio 2019