Licenziamento collettivo – violazione dell’accordo sindacale impugnabile solo dalle Organizzazioni Sindacali e non dai lavoratori.
Durante la vita aziendale, il datore di lavoro stipulava un accordo di durata quadriennale con le organizzazioni sindacali, con le quali lo stesso si impegnava a non licenziare, non attivare procedure di mobilità o di cassa integrazione, prevedendo anche una serie di operazioni volte al recupero di liquidità e di riduzione del costo del personale, di ottimizzazione, al fine proprio di evitare di ricorrere a procedure di licenziamento collettivo.
Successivamente, denunciate le mutate esigenze aziendali, a distanza di un solo anno dall’accordo, il datore di lavoro violava tale accordo, facendo ricorso a procedure di esternalizzazione e di licenziamento collettivo.
Tra i vari motivi di impugnazione del licenziamento intimato, poi accolto per altri profili di violazione, un lavoratore denunciava anche la violazione di tale accordo, ma è stato ritenuto (Tribunale Roma, sez. Lav., 45679 del 30.04.2015) che detto accordo non contenesse alcun obbligo giuridicamente vincolante nei confronti del lavoratori, ma un mero impegno dell’azienda ad evitare, nel periodo indicato, ricorso a procedure di riduzione del personale e, pertanto, che tale atto non fosse impugnabile in via autonoma dai singoli lavoratori ma solo dalle Organizzazioni Sindacali firmatarie dello stesso.
Deduceva infatti il giudicante che l’assenza di una diretta assunzione di obblighi nei confronti del personale, comportasse che l’eventuale violazione dell’accordo potesse essere fatta valere solo dalle organizzazioni sindacali stipulanti e non anche dai singoli lavoratori, aggiungendo che l’esistenza di un accordo sindacale non potrebbe, in ogni caso, precludere al datore di lavoro per eventi successivi all’accordo stesso di disporre licenziamenti collettivi o richiedere cassa integrazione, potendo l’accordo avere effetto solo rebus sic stantibus.