SE C’E’ RISCHIO DI INQUINAMENTO IL DISTRIBUTORE DI CARBURANTE… DEVE CHIUDERE. IL TAR DI ROMA E IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE.
La Sezione Seconda Ter con la sentenza n. 6773 del 2015 fa il punto tra la tutela della proprietà e dell’attività imprenditoriale di gestione di un impianto di carburante e l’interesse del vicino, privato cittadino, ad evitare le esalazioni ammorbanti.
Ecco i passi salienti della decisone che, in doverosa applicazione del principio di (matrice comunitaria) precauzione impone lo stop all’attività del distributore di carburante.
“Essendo provata la permanenza delle esalazioni di carburante all’interno dell’abitazione a seguito della riapertura dell’impianto, se ne deve dedurre l’insufficienza dell’istruttoria condotta dall’Ente circa i relativi presupposti di sicurezza, perché l’evento può essere provocato solamente o da una perdita pregressa che ha inquinato la matrice ambientale sottostante all’area o da una perdita attuale dell’impianto.
Secondo il principio di precauzione (che postula l’esistenza di un rischio anche solo “potenziale” per la salute e per l’ambiente, senza necessità di evidenze scientifiche dimostrate e consolidate, cfr. Consiglio di Stato, III, 6 febbraio 2015; V, 11 luglio 2014, nr. 3573), sussistendo tale genere di dubbio, non avrebbe dovuto essere consentita la riapertura dell’impianto: quando la P.A. dispone provvedimenti di chiusura di impianti contenenti fonti attuali di pericolo ambientale, in ragione della presenza di indicatori di inquinamento oggettivamente riconducibili alla produzione, la successiva riattivazione non può avvenire se non dopo l’individuazione certa delle cause che hanno prodotto l’emersione dei fattori di inquinamento predetti e la conseguente rimozione delle fonti di pericolo.
E’ stato infatti affermato, con argomenti che il Collegio condivide, che il principio di precauzione e di prevenzione rende legittima l’adozione di misure di sicurezza, prevenzione, riparazione e contrasto ad una fase nella quale il danno non si è ancora addirittura verificato, perché si esigono livelli di sicurezza sempre più elevati, tali da portare ad un consistente arretramento della soglia d’intervento dell’Autorità a protezione della salute umana e della salubrità ambientale (cfr. TAR Trieste, Friuli Venezia Giulia, I 5 maggio 2014, nr. 183).
Ne deriva a maggior ragione che, se il danno si è già verificato, l’indagine circa la sussistenza attuale della pericolosità dell’impianto va condotta con esaustività e con il necessario approfondimento; e se, nonostante tale indagine, residuano alterazioni ambientali tipiche della forma di inquinamento indagato, va presunta la perdurante sussistenza della perdita, con conseguente necessità di ulteriori verifiche, non potendosi addossare a soggetti estranei alla produzione il rischio delle c.d. “cause ignote”.