In particolari situazioni è consentito all’inquilino malato chiedere un termine per sanare la propria morosità oppure anche la sospensione dell’esecuzione
Sfratto dell’inquilino malato, argomento di grande attualità.
Lo sfratto rappresenta quel provvedimento con cui il giudice impone all’inquilino di lasciare l’appartamento e di riconsegnarlo al proprietario. Si tratta di una procedura che non evoca certamente qualcosa di piacevole, né per chi lo intima, né per chi lo subisce.
Arrivare al punto da dover adire il giudice per (letteralmente) “cacciare” di casa l’inquilino che non rispetta le previsioni contrattuali non è piacevole, né tantomeno lo è vedersi privare della propria abitazione, magari a causa di difficoltà economiche non prevedibili che rendono complicato adempiere al contratto nell’immediatezza.
In molti si chiedono se la situazione in cui versi l’inquilino possa incidere sulla disciplina dello sfratto e giustificare delle deroghe alla procedura di rilascio, ad esempio qualora questi sia malato o disabile. In realtà, la legge non disciplina una simile possibilità in maniera autonoma, ciononostante è possibile rintracciare nelle disposizioni che regolano lo sfratto alcune soluzioni.
Le diverse tipologie di sfratto
Come noto, in Italia lo sfratto può essere intimato in diversi casi, principalmente per finita locazione o per morosità.
L’art. 657 c.p.c. disciplina lo sfratto per finita locazione nei casi in cui, una volta scaduto il contratto, il conduttore non lasci libero l’immobile. Norma che si collega direttamente alla previsione di cui all’art. 2930 c.c. che, qualora non sia adempiuto l’obbligo di consegnare una cosa determinata, mobile o immobile, riconosce all’avente diritto la possibilità di ottenere la consegna o il rilascio forzati a norma delle disposizioni del codice di procedura civile.
L’art. 658 c.p.c., invece, si occupa dello sfratto per morosità, procedimento che il locatore può intimare al conduttore, con il contratto ancora in vigore, in caso di persistente morosità dell’inquilino, ovvero se questi si sia reso inadempiente non pagando il canone d’affitto alle scadenze pattuite.
In entrambi i casi, il procedimento giudiziale viene attivato con citazione del conduttore da parte del proprietario, leso nei suoi diritti, che la legge punta a tutelare consentendogli di ricorrere a un procedimento sommario, molto più snello e veloce rispetto a quello ordinario, con termini notevolmente ridotti. Infatti, qualora l’intimato non compaia o non si opponga, il giudice convalida la licenza o lo sfratto e dispone con ordinanza in calce alla citazione l’apposizione su di essa della formula esecutiva.
L’inquilino malato può bloccare lo sfratto?
Tuttavia, come bilanciamento a tutela dell’inquilino, l’ordinamento riconosce a quest’ultimo la possibilità di opporsi allo sfratto (art. 665 c.p.c.) comparendo in giudizio dopo essere stato regolarmente citato e contestare quanto affermato dal locatore.
Qualora l’opposizione si fondi su prova scritta, la convalida non potrà essere pronunciata e verrà avviato un giudizio ordinario di cognizione nelle forme del rito locatizio, previa ordinanza di mutamento di rito ai sensi dell’art. 426 del codice di procedura civile.
Sanatoria della morosità e termine di grazia
La legge n. 392/1978 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani) all’art. 55 prevede che l’inquilino possa impedire lo sfratto sanando in sede giudiziale la sua morosità nel pagamento dei canoni o degli oneri, per non più di tre volte nel corso di un quadriennio. Il pagamento esclude la risoluzione del contratto.
Alla prima udienza, egli dovrà versare l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice.
Qualora il pagamento non avvenga in udienza, il giudice potrà, innanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, assegnare un termine non superiore a 90 giorni per adempiere, rinviando l’udienza non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato.
Si tratta del cosiddetto “termine di grazia” che la legge fissa in 120 giorni qualora l’inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, sia conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi e comprovate condizioni di difficoltà, dunque anche problemi di salute ed eventuali patologie che hanno determinato la sua difficoltà.
La legge tutela maggiormente l’inquilino ammalato, concedendogli in quest’ultimo caso non solo un maggior termine, ma anche la possibilità di sanare la morosità per massimo quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio.
Sospensione dell’esecuzione
Infine, la legge sulle locazioni abitative, n. 431/1998, all’art. 6, comma 5, consente al conduttore, qualora siano stati emessi provvedimenti esecutivi di rilascio per finita locazione di chiedere, una solta volta, che sia differito il giorno dell’esecuzione.
Si tratta di una possibilità concessa solo in presenza di alcuni presupposti specifici, tra cui anche il caso in cui il conduttore o uno dei componenti il nucleo familiare, convivente da almeno sei mesi, sia portatore di handicap o malato terminale.
Il differimento potrà avere una durata assai notevole, fino a 18 mesi, e l’istanza andrà rivolta al Giudice dell’esecuzione, la procedura è quella di cui al D.L. n. 9/1982. Tuttavia, quale “contropartita”, la medesima norma impone al conduttore/occupante di corrispondere, durante il periodo di sospensione dell’esecuzione e fino all’effettivo rilascio una somma mensile pari all’ammontare del canone dovuto alla cessazione del contratto maggiorata del 20%.
Avv. Federico Bocchini
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